La biblioteca dei cappuccini di Genova
e alcuni suoi bibliotecari
Ci
fu un periodo in cui, tra i centri di studio che
si
distinguevano nella grande città di mare,
faceva spicco la raccolta di libri che si conservava nel Convento dei
Cappuccini «alla SS.ma Concezione», detto oggi «al Padre Santo».
Non è che i Cappuccini si siano presentati alla ribalta della storia come antesignani della cultura; pure, fin dalle loro prime Costituzioni (1536), dedicarono ai libri una certa attenzione. Naturalmente per la S. Scrittura «et alcuni sancti doctori»... La «piccola stantia», che li doveva contenere, viene ricordata in tutte le successive edizioni di quel testo legislativo, finché, nella revisione del 1643, la "piccola" stanza diventa una stanza "mediocre" e alla S. Scrittura, nonché devoti e santi Dottori, si aggiungono anche «altri libri necessari». Di assolutamente esclusi, rimangono sempre «i libri inutili de' Gentili».
Le direttive emanate dall’alto trovarono esecuzione pratica, a seconda delle esigenze e possibilità locali.
Per Genova una prima presa ufficiale di posizione fu quanto venne stabilito nel capitolo provinciale, celebrato nella stessa città il 29 giugno 1603: «S'è risoluto — dicono gli atti — che si accomodi tutta la Provincia di libri e che se ne comperi quanti faranno bisogno, acciò i Padri predicatori non portino libri dietro».
E' questo, senza dubbio, l'atto di battesimo della libreria, della quale vogliamo discorrere, e pare meriti di esser sottolineata l'apertura di quei venerandi capitolari, tale da far invidia a tutte le fratesche assemblee, succedutesi a diverso livello, nei tempi. Chi, infatti, si sentirà in seguito di sottoscrivere quel: “quanti faranno bisogno”...?
L'esigenza della biblioteca coincideva con l'avvio appena iniziato di quello stesso convento, dove il capitolo si celebrava. Erano stati i cittadini a reclamare — oltre al monastero-eremo delle alture dove i Cappuccini avevan trovato alloggio fin dal 1538 — un altro cenobio, che fosse di più facile accesso da parte dei fedeli e offrisse qualche maggiore comodità ai frati stessi, soprattutto infermi. Così, a ridosso delle mura cittadine (di allora), in amena zona tra il verde, era sorto il convento che doveva essere, ed è tuttora (sia pure ridotto al minimo) casa madre della cappuccinesca provincia genovese. Oltre l'infermeria, con annessa farmacia (tuttora esistente nel nome "dei Cappuccini" anche se non è nostra), il "lanificio" per la provvista dei panni ai frati, e la sede di studio e formazione dei giovani, nel convento trovò sistemazione anche la libreria, destinata a diventare, come ovvio, la più importante della Provincia. La capacità di adattamento ai diversi campi di lavoro, il "pluralismo" di cui oggi si parla, era già una realtà concreta.
L'organizzazione, allora che i libri in proporzione costavano assai più di oggi e che di denaro nelle mani dei frati... non ne circolava affatto, fu resa possibile dalle volontarie contribuzioni di pii benefattori, in libri ed in offerte. Verso il 1620 la. Signora Maria Senarega Merello disponeva un legato a favore del «luogo della Concezione in Genova di lire 2.000 per la libreria»; e si trattò, evidentemente, di un gesto, che ebbe — anche se oggi non riusciamo a documentarlo con testi alla mano — imitatori e seguaci.
Con un anticipo sulla legislazione ufficiale dell'Ordine, che soltanto nel capitolo del 1733 stabilirà un bibliotecario per ogni Convento, la nostra biblioteca poté avvalersi assai presto della cura e ammirevole competenza di un religioso singolare, che ad essa dedicherà un lungo arco di tempo: il chierico Fr. Paolo Maria Rivarola da Chiavari (1612-1692).
Nei primi anni della sua vita religiosa egli era stato colpito da sordità completa, cosicché si vide inesorabilmente preclusa la via al sacerdozio, e dovette rassegnarsi a restare diacono. E' a lui che, supponiamo verso il 1635, i superiori affidarono l’incombenza della biblioteca, che andava costituendosi. Egli vi lavorò con intelligenza e sollecitudine fino alla tarda vecchiaia, quando, pur tormentato dalla podagra e da altri mali, «appena poteva reggersi in piedi con un bastoncello, si portava a vedere la sua sposa diletta, la libreria, e a terminare le sue gloriose fatiche». La morte lo colse nel 1692.
La diligenza che egli impiegò nel suo ufficio è testimoniata, da un lato, nelle notizie lasciateci dal solerte cronista della Provincia, le cui parole non potrebbero essere più significative. Fra Paolo M., innanzi tutto, si era dato cura di comporre un libro o catalogo, che ricordava tutti coloro che, in qualche modo, avevano beneficato la libreria; è un peccato che un tale elenco, nelle vicissitudini del tempo, sia andato smarrito.
«Con elemosine di benefattori» il bibliotecario provvide «moltissimi libri», tanto che era solito dire, nella serena coscienza del suo dovere compiuto, che egli si considerava quasi madre della stessa biblioteca, avendola in certo senso lui stesso concepita e realizzata.
L'attività del diacono Fr. Paolo resta, per altro verso, comprovata la una poderosa opera, frutto delle sue pazienti ricerche e della sua instancabilità. Sono ventun grossi volumi in foglio, nei quali egli raccolse quanto di meglio trovò nella Bibbia e nei Padri per esaltare la figura della Vergine Maria, di cui egli era devotissimo. Questo particolare impegno di studio in Fr. Paolo M. diede anche un carattere personale alla sua funzione di bibliotecario.
Un solo appunto verrà fatto più tardi al comportamento di Fr. Paolo. In Biblioteca era confluito un manoscritto contenente notizie genealogiche e storiche di quasi tutte le famiglie nobili di Genova e quindi anche dei Rivarola, dai quali egli discendeva. Niente di più ovvio che egli abbia cercato di completare e correggere le notizie che tanto da vicino lo riguardavano, come naturalissimo che abbia fatto riprodurre a colori nel codice l'arma della propria famiglia. Solo che egli, anziché servirsi degli spazi in bianco, appositamente lasciati dal primo redattore, appiccicò un suo foglio su quello originale, minacciando di sciuparlo e renderlo illeggibile quando un suo successore vorrà ricomporre il codice nella sua forma originaria:
La preziosa e feconda attività del primo grande bibliotecario avrebbe dovuto essere continuata da chi, pensiamo, fu il suo immediato successore: P. Egidio Curlo da Genova (æ1718). Di lui, tuttavia, non rimangono tracce di particolari meriti. Bensì anche a lui si estende il citato rimprovero di manomissione del manoscritto araldico. A farlo apposta anche lui vi aveva trovato elencata la sua famiglia e allora, «con gesto anche più vituperevole», egli strappò addirittura il foglio relativo, sostituendolo con un fascicolo di «molti fogli CURLI» redatti in stile diverso. Il censore non trattiene il suo sdegno e commenta amaramente: questo non è un conservare i manoscritti, «ma un disperderli, un annientarli». E il richiamo si allarga ad una raccomandazione più ampia sulla cura che i bibliotecari dovrebbero prendersi, soprattutto, dei manoscritti. Questi volumi — si dice - sono «incomunicati, unici, non editi» e l'attenzione per essi, anche nei rapporti di chi li usa, deve «sempre più riuscire gelosissima».
A rivolgere queste vive raccomandazioni è colui che, a buon diritto, giudichiamo il secondo grande bibliotecario, cui la nostra raccolta dovette buona parte della sua fortuna.
Il P. Tommaso Maria Olivieri da Genova (1717-1785). Veramente egli è noto agli storici più per un'altra attività: quella di archivista delle Compere o Banco di S. Giorgio, i cui contratti egli trascrisse in una massiccia serie di tomi, e per quel "zibaldone" di notizie, che s'intitola Genova Sacra nelle sue Chiese, Monasteri, Luoghi Pii, ecc. Genova 1784, cui tutti coloro che vogliono scrivere di chiese e di istituzioni genovesi hanno attinto e continuano ad attingere.
Ma questa sua attività extra fu, per così dire, il coronamento di quella che egli ha dato alla Biblioteca del suo convento e sulla quale, fortunatamente, siamo edotti dalle sue stesse testimonianze. E' evidente che la libreria aveva subito (sorte non rara) dei periodi di trascuratezza, se il P. Tommaso M. deve rammaricarsi di aver trovati manoscritti «rari e preziosi negletti, sconsiderati ed anzi appartati in luogo incolto». Suo impulso fu, «al primo lume» che ne acquistò, restituirli alla biblioteca e sottoporne una parte a restauro, «non senza qualche spesa». E si direbbe che egli abbia fatto oggetto di sua particolare attenzione proprio questo reparto.
Si assunse l'incarico di continuare e rettificare il citato lavoro genealogico del Rosso, “preponendovi un indice ed una assennata prefazione. Dichiara che sarebbe stato disposto a corredare ogni famiglia, secondo le intenzioni del compilatore, della riproduzione del rispettivo stemma se non fosse stato, in questo, prevenuto in certo senso dalla raccolta dal Fransone che esiste, dice, in questa biblioteca «Abbandonati in un cantone» aveva pure trovati, nel 1775, alcuni quaderni manoscritti di una Cronaca di S.Francesco e del suo Ordine. Subitamente li fece legare; per fortuna essi erano continui, sebbene si arrestassero al 1243.
Nella sua passione per arricchire la libreria ebbe modo di farsi donare, nel 1768, dal "Libraro" Lavezzolo una storia manoscritta di Genova, anonima. Si diede cura di confrontare il testo con altra che egli sapeva conservata nell'archivio segreto di Palazzo Reale, e scoprì trattarsi di una copia della storia di Genova, composta da Giacomo Mancini nel 1597. Altro dono prezioso che egli ebbe fu,nel 1769, il ricco - e oggi forse unico - album di venti stampe di Genova dell'Abate Antonio Giolfi.
Conosciamo pure la sua solerzia nel provvedersi di libri anche da lontano.
L'ultimo tempo della sua vita (dismise l'ufficio di Bibliotecario il 15 marzo 1782) lo dedicò alla ricordata "ciclopica", impresa di trascrivere i più importanti contratti della Casa di S.Giorgio. Aveva avuto l'incarico ufficiale nel 1769, e lo soddisfece, superando anche una grave malattia, fino alla morte, senza riuscire a condurlo a termine. Sei tomi in cinque grossi volumi sono oggi custoditi nella Civica Biblioteca Berio di Genova; altri volumi, incompleti e di, bozze, nella nostra Biblioteca Provinciale. Nei suoi scritti egli parla, talvolta, di una Sua «Storia pubblica del Dominio Genovese in beneficio della Casa ill.ma di S.Giorgio», e,con ciò, egli pare intendesse il citato lavoro. Compose pure una «Storia riformata e ridotta a migliore ordine e più decoroso stile delle guerre civili accadute in Genova dal 1575, che risulta nel vecchio catalogo della nostra Biblioteca mentre oggi non se ne ha più notizia.
Egli morì, di cancro, nel 1785.
La triade famosa della nostra Biblioteca si completa col P. Carlo Giuseppe Ghigliotti da Genova (1745-1803). Se Fr. Paolo aveva avuto la passione della ricerca e dello studio dei Padri, se P.Tommaso M. era "geloso" dei manoscritti, il P. Ghigliotti ebbe l'amore per i libri rari e preziosi.
Forse era il clima del tempo, il mercato librario era in auge; sta il fatto che il Padre ci si presenta come un personaggio curioso: lui, frate, tipico esempio del suo «secolo dei lumi». Egli aveva l’abitudine di datare e firmare i suoi acquisti e chi avesse tempo, oggi, potrebbe "ricomporre" la sua biblioteca sulla quale dolorosamente — come su tutte quelle dei conventi - ai abbatterono le avverse vicende dei tempi. Solo di incunaboli "suoi", la Biblioteca Universitaria di Genova oggi ne conserva una sessantina; tra incunaboli e rari una quarantina sopravvive nella nostra Biiblioteca Provinciale. Dal 1786 al 1803 egli ogni anno riusciva a rintracciare e a fare suo qualche prezioso cimelio. Era l’amore aI libro che determinava in lui la ricerca. La quale spaziava dalla Bibbia alle edizioni rare dei Padri, dal classico pagano al libro curioso.
Nella sua raccolta ci si incontra con la Bibbia manoscritta che egli riscattò nel 1788 e che già era appartenuta ai Benedettini di S. Giustina del Monastero della Cervara di S. Margherita Ligure come con rare edizioni del Sacro Testo. Abbiamo una preziosissima miscellanea, venuta a mano dal P. Ghigliotti nel 1792, con sei rarissimi opuscoli stampati a Colonia, da Ulrico Zeli, circa il 1470.
Di frequente il Padre si compiaceva nel dare più precisi ragguagli sui suoi acquisti; la storia dell'edizione, o la ricerca dell'epoca del manoscritto, o la ragione della rarità, o l'apprezzamento venale. E' così che tra gli incunaboli dell'Universitaria oggi ne individuiamo due, già appartenenti ad una guida del movimento umanistico genovese: Giuseppe Palmaro.
Il P. Ghigliotti morì di "anchilosi" nel 1803, appena in tempo per non assistere allo "scempio" della sua Biblioteca. Cosa sia successo nel "marasma" dell'epoca napoleonica noi perfettamente non sappiamo. Si sa soltanto che come preziose tele presero misteriose vie, così anche libri rari restarono in balia di "sciacalli".
Dopo la bufera, come sempre, i frati "ricominciarono"...
Al P. Ghigliotti successe il P. Carlo Filippo Rubini da Genova (t1827); quindi fu bibliotecario, per qualche tempo, il P.Antonio Garibaldi da Cipressi (æ1827), finchè nel 1834 fu eletto "ut moris est" il Padre Atanasio Zunino da Sassello (æ 1850)," cui nel '45, fu dato in aiuto anche un pro-bibliotecario nella persona del P. Bonaventura Aicardi da Loano.
Il P. Atanasio, come risulta dal suo nome apposto su moltissimi libri e su pregiate raccolte italiane e francesi, fu il paziente ricostruttore della Biblioteca.
Nonostante le passate prove e le nubi che si addensavano all'orizzonte, si sperava in una nuova ripresa, nel ritorno di una serena èra di operosità tranquilla. Tanto che, quando nel '46 il P. Atanasio, a causa del suo stato di salute, fu sostituito nell'ufficio di bibliotecario dal P.Angelo Francesco Serra da Torino (æ 1875), il Definitorio Provinciale dettò nuove norme per il buon funzionamento della Biblioteca: doveva restare aperta dalle otto e mezza fino alle undici del mattino, doveva essere controllata l'estrazione temporanea di libri da parte dei religiosi, doveva essere luogo di silenzio… Il nuovo bibliotecario ci lasciò un segno della sua operosità, ricopiando, con la nitida calligrafia per la quale andava famoso, il catalogo della ricostituita biblioteca.
E’ alla tempestività di agire dei frati che dobbiamo la fortuna di aver salvato almeno qualcosa dalla nuova soppressione che si abbatté sulle case religiose nel 1866. Già l'anno prima, il P. Gian Carlo Emanuelli da Genova (æ1878) affidava al Sig. Antonio Barbagelata "oriuolaio" i 21 volumi di Fr. Paolo M. da Chiavari, con la clausola che detti volumi sarebbero stati restituiti, ad ogni richiesta dei Cappuccini, «senza alcuna gravezza di spesa». Contemporaneamente, i frati si davano da fare per trasferire cautamente parte della loro preziosa biblioteca nel Convento di S. Barnaba che, per essere proprietà dell'Ospedale, si presumeva non avrebbe subito la sorte degli altri conventi. Quello che rimase in sede andò purtroppo, ancora una volta, disperso.
Una parte di libri finì nelle biblioteche della città, un gruppo fu estratto, con licenza dell'Arcivescovo, e dal Comune venne consegnato in deposito alla Canonica di S. Giorgio, per comodo dei parroci. Qualcosa non fu degnato di attenzione, come le tavole incise in rame del Globo terrestre e della Sfera Celeste del P. Vincenzo CORONELLI, che l'archivista del Comune di Genova, Angelo Boscassi, nel 1890 scoprirà in un fondo di magazzino dell'Economato comunale tra i libri incamerati nel '66, e più precisamente «nel mucchio proveniente dal. Convento dei Cappuccini». Dette tavole egli stesso le fece montare, completandole di 4 che mancavano, su grandi mappamondi che ora adornano le sale del Museo Navale di Pegli.
Ultimo zelante e attento bibliotecario è stato p.Cassiano da Langasco, autore anche di numerosi articoli e opere di carattere storico su argomenti riguardanti la nostra Provincia cappuccina e santa Caterina Fieschi Adorno.
L'ambiente, dove con amorosa dedizione di zelanti bibliotecari e provvida collaborazione di benefattori, si erano andati allineando, in due secoli e mezzo di vita, i tesori della scienza sacra e profana, oggi è irriconoscibile, nel continuo fluttuare di usi e di impieghi dell'antico convento. Anche il legame ideale con quell'«amore» dei nostri vecchi frati al libro è appena percettibile. Pure la tenue fiammella, almeno finora, non si spegne.
Accanto alla Chiesa, che fu aperta dal B.Angelo da Chivasso e fu santificata dalla presenza prima e dall'urna poi, di S. Caterina Fieschi, «il Centro Studi S. Caterina» sta ricomponendo, un'altra volta, l'antica biblioteca dei Cappuccini, con nuovi criteri, con nuove finalità. Nel cuore della città, vorrebbe testimoniare la perennità di un gesto, che può essere stato mortificato dalle avverse vicende, ma non distrutto.
A sistemazione ultimata, il Centro aspira a divenire utile strumento di studio e di elevazione non solo per i frati, che lo desidereranno, ma anche per chiunque voglia ancora rivolgersi alla porta del convento per chiedere non un pezzo di pane, ma un raggio di luce.